Francesco Cera

Tra le geniali e rivoluzionarie invenzioni che ebbero luogo in Italia nel campo dell’arte e della musica,  vi è stata niente di meno che la scoperta del canto solistico e delle sue grandi potenzialità e ramificazioni sviluppatesi per i secoli a venire. Francesco Rasi era finora noto principalmente per aver cantato nelle primissime opere messe in scena a Firenze intorno al 1600 e per aver inaugurato il ruolo di Orfeo nella prima esecuzione, avvenuta alla corte Gonzaga di Mantova nel 1607, dell’omonima Favola in Musica di Claudio Monteverdi.

I rapidi ed estesi melismi dell’aria “Possente spirto” danno l’idea delle sue non comuni capacità. Ma il giovane Rasi dovette avere anche doti sceniche particolarmente seducenti, oltre ad  una voce eccezionale, secondo il ricordo che ancora nel 1650 Saverio Bonini tramandava:

fu di bello aspetto, gioviale, di voce granitica e suave.

Perciò una voce robusta, sonora, ma al contempo gradevole e capace anche di sonorità soavi. Dunque già ai primi anni del seicento Francesco Rasi incarnava gran parte delle caratteristiche che avrebbero fatto emergere il canto solistico: una buona potenza sonora, ma duttile alle raffinate varietà dinamiche messe al servizio dell’espressione del testo cantato, uno stupefacente virtuosismo (testimoniato dai brani che cantava), e infine una prestanza scenica capace di magnetizzare l’attenzione del pubblico.

Possiamo intravvedere queste caratteristiche nelle composizioni di Francesco Rasi stesso, in gran parte ascoltabili per la prima volta sul CD “La Cetra di sette corde” da me registrato col tenore Riccardo Pisani e gli strumentisti dell’Ensemble Arte Musica, pubblicato dall’etichetta Arcana. Ad un primo ascolto i brevi madrigali, pubblicati nel 1608 e nel 1610, danno l’impressione di piccoli e preziosi gioielli musicali, perfettamente cesellati e di notevole intensità drammatica. Occasionali cromatismi della linea vocale o dell’armonia vengono usati per un effetto ben mirato, sulle esclamazioni “Ahi” o sulle parole “venne men”. La linea melodica è generalmente molto pacata, scandita dalle sillabe del testo poetico ma su valori delle note generalmente lunghi, a far risaltare la bellezza della voce, più che l’immediatezza del testo – come in Monteverdi, che infatti usa spesso valori più brevi.  Talora invece la voce è chiamata a sfoggiare estesi passaggi di note rapide, su parole come “suono”, “volo”, “guerra”. Altra caratteristica ricorrente è l’uso di due o tre note di lungo valore, come semibrevi o brevi, che con ogni probabilità richiedono l’applicazione piuttosto estesa, da parte del cantante, dell’arte della diminuzione e del passaggio di gorgia improvvisato. Un po’ come nel monteverdiano “Possente spirto” in cui le lunghe semibrevi vengono trasformate in meravigliosi passi di semicrome. La ‘meraviglia’ d’altra parte in quegli anni era divenuta parola d’ordine – secondo il celebre verso di Giovanni Battista Marino – anche nel nuovo modo di cantare, accanto al muover degli affetti.

Info Arcana Music

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